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(Rudolf Steiner)

Gli interessi di Stato - “economia di Stato”, o “keynesianesimo” (*), o “economia politica”, o “politica economica”, che dir si voglia - ingerendosi nell’universale tendenza all’autonomizzazione della vita economica del pianeta, perturbano quest’ultima fino a bloccarla, generando miseria, e distruggendo perfino la vita giuridica, la quale simulando una base democratica che non ha, poggia ancora su base monocratica (monopolio). Da ciò l’esigenza risanatrice della triarticolazione. - (*) Dell’errore dei keinesiani, Rudolf Steiner parlò in modo molto dettagliato a Stoccarda nella conferenza del 2/1/1921 a proposito dell’illusione del credere possibile un’intesa con gli anglosassoni e con gli americani circa la statalizzazione di tutta l’economia in “una specie di Stato mondiale” pensato secondo le vecchie abitudini di pensiero che avevano già condotto alla prima catastrofe mondiale (R. Steiner, “Come si opera per la triarticolazione sociale”, Ed. Antroposofica, Milano 1988, 2ª conferenza del 2° corso; cfr. "Steiner su Keynes e keynesiani").

 

Rudolf Steiner

Le necessità della vita internazionale e la triarticolazione

(“I punti essenziali della questione sociale”, Ed. Antroposofica, Milano 1980, cap. 2° de

“In margine alla triarticolazione dell’organismo sociale”, p. 130)

Traduzione di Lina Schwarz, riveduta da Nereo Villa

 

Contro l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale si fa spesso l’obiezione che, effettuandola, uno Stato turberebbe le sue relazioni con altri Stati. Solo osservando a tutt’oggi la natura dei rapporti tra gli Stati si può riconosce il valore di questa obiezione. Guardando in tal senso risulta chiaro che i fatti economici attuali hanno preso forme che non sono più in accordo con le delimitazioni degli Stati. Tali delimitazioni, risultanti da condizioni storiche hanno ben poco a che fare oggi con gli interessi economici dei popoli viventi in detti confini. Ne consegue che i loro governi stringono relazioni internazionali, cioè fra nazioni, mentre sarebbe più conforme alla natura di tali relazioni se esse fossero stabilite in modo immediato da persone o da associazioni economicamente attive. Per richiedere materia prima da uno Stato estero un’industria dovrebbe semplicemente prendere accordi con la relativa amministrazione, e tutto quanto occorre per tali accordi dovrebbe svolgersi esclusivamente nel giro economico. Tale tendenza ad autonomizzarsi dell’economia è osservabile negli ultimi tempi, nonostante questa autonomizzazione economica gradualmente tesa a diventare un’unità su tutta la terra, gli interessi statali s’ingeriscono come un elemento perturbatore. Le condizioni storiche per cui l’Inghilterra prese il dominio sull’India, cosa c’entrano con le condizioni economiche per cui un fabbricante tedesco importa merci dall’India?

La catastrofe della guerra mondiale ha mostrato che la vita dell’umanità moderna non sopporta il perturbamento portato dagli interessi di Stato all’economia mondiale che tende all’unità. Questo perturbamento sta alla base dei conflitti coi Paesi occidentali in cui cadde la Germania; ed anche nei conflitti con quelli orientali giocano cause analoghe. Interessi economici avevano resa necessaria una ferrovia che dal territorio austro-ungarico andasse verso sudest. Gli interessi dello Stato austriaco e quelli dei paesi balcanici alzarono la voce, e sorse la questione se a questi interessi non fossero contrari quelli relativi alle esigenze economiche. Il capitale che dovrebbe servire l’economia è così messo in rapporto con gli interessi di Stato. Gli Stati vogliono che i capitalisti si pongano al loro servizio; i capitalisti vogliono che la potenza concentrata nello Stato serva ai loro interessi economici. La vita economica è così impigliata nell’ambito degli Stati, mentre nella sua fase moderna di sviluppo tende a formare un tutto unitario al di là di ogni confine statale.

Questa internazionalità della vita economica indica che in avvenire i singoli campi dell’economia mondiale dovranno sussistere in rapporti indipendenti dai restanti interessi non economici fra i popoli. Gli Stati dovranno lasciare le questioni economiche in mano a persone o associazioni addette all’economia.

Se non si vuole che da ciò le relazioni culturali-spirituali siano rese del tutto dipenderti dagli interessi economici, bisogna far sì che queste possano svolgere la loro internazionalità a partire da premesse proprie. Non voglio affatto mettere in dubbio che i rapporti economici possano costituire una base anche per delle relazioni culturali. Si riconosca però che solo se con esse si formeranno tra i popoli rapporti provenienti esclusivamente dai bisogni della vita culturale stessa, quelle potranno essere feconde. Nel singolo popolo, la vita spirituale-culturale degli uomini si sgancia dai substrati economici; assume configurazioni che nulla hanno a che fare con le forme della vita economica. Queste configurazioni devono poter stringere con quelle corrispondenti di altri popoli rapporti che procedano unicamente dalla loro propria vita. Non si può negare che, al momento attuale dell’evoluzione umana, la tendenza egoistica dei popoli a rinchiudersi nella propria nazionalità sia avversa alla configurazione internazionale delle sfere spirituali della vita. I popoli si sforzano di crearsi strutture statali i cui confini coincidano con quelli etnici. E questo sforzo si allarga all’altro di fare dello Stato etnico chiuso anche un campo economico chiuso.

In avvenire, la tendenza dell’economia mondiale sopra accennata lavorerà contro gli egoismi nazionali. E se non si vuole che da questa opposizione sorgano infiniti conflitti, gli interessi culturali-spirituali che si estrinsecano nei popoli dovranno regolarsi secondo la loro natura, indipendentemente dalle condizioni dell’economia; e dalle amministrazioni così formate, dovranno stringersi i rapporti internazionali. Ciò non sarà possibile se non a patto che le zone in cui regna una vita spirituale comune assegnino a se stesse confini relativamente indipendenti da quelli derivanti dalle premesse della vita economica.

Qui è ovvio chiedere come possa la vita spirituale trarre il suo sostentamento dalla vita economica, se i confini delle due amministrazioni non coincidono. Per rispondervi, si pensi che una vita culturale-spirituale auto-amministrantesi è, di fronte all’indipendente vita economica, come una corporazione economica. Ora quest’ultima può, per le sue basi economiche, stabilire rapporti con le amministrazioni economiche del suo territorio, indipendentemente dalla loro appartenenza a una zona più vasta. Chi considera praticamente possibile solo quanto ha visto fare fin qui, riterrà tutto ciò un’astratta teoria, e crederà che l’ordinamento in questione dovrà fallire per la sua eccessiva complicazione. Ma questa maggiore o minore complicazione dipenderà dall’abilità degli uomini che intraprenderanno la riforma. Comunque, la paura di questa supposta complicazione non dovrà far arrestare nessuno di fronte a misure che sono richieste dalle necessità storiche universali del nostro tempo (si veda in proposito il 4° cap. del mio libro “I punti essenziali della questione sociale).

La vita internazionale dell’umanità tende a rendere reciprocamente indipendenti i rapporti culturali dei popoli e quelli economici dei singoli territori. Di questa necessità dell’evoluzione umana tiene conto la triarticolazione degli organismi sociali. In essi la vita giuridica su base democratica è anello di congiunzione tra la vita economica, che allaccia rapporti internazionali secondo le proprie esigenze, e la vita culturale-spirituale che li allaccia partendo da forze proprie.

Per quanto fortemente le abitudini di pensiero create in noi dalle condizioni statali invalse fin qui possano mantenerci ligi alla credenza che la trasformazione di tali condizioni sia “praticamente inattuabile”, lo sviluppo dei fatti storici procederà distruggendo qualsiasi provvedimento che, partendo da quelle abitudini di pensiero, vorrà conservarsi oppure risorgere. Perché l’ulteriore fusione della vita spirituale, giuridica ed economica è addirittura un’impossibilità per le esigenze della vita dell’umanità moderna. La catastrofe della guerra mondiale ha manifestato questa impossibilità, la quale è derivata dal sorgere di antagonismi fra gli Stati, che esplosero in conflitti economici e culturali con un esito che non sarebbe pensabile là dove la vita spirituale si trovasse di fronte alla sola vita spirituale, e gli interessi economici di fronte ai soli interessi economici.

Voglio mostrare nel modo seguente, come sia possibile senza mettersi in conflitto con la vita internazionale, intraprendere la triarticolazione in un singolo Stato, anche se questo, da prima, resti il solo a compierla.

Un settore economico che volesse costituirsi in una vasta associazione nell’ambito d’uno Stato non potrebbe mantenere vantaggiosi rapporti economici con l’estero che continuasse nell’economia capitalistica. Istituzioni simili a quelle statali, sottoposte alle amministrazioni economiche centrali toglierebbero ai capi d’azienda la possibilità di fornire all’estero i prodotti richiesti. Fosse pure concessa a quei capi d’azienda ampia indipendenza nell’accettare ordini, dovrebbero pur sempre attenersi, per provvedersi di materie prime, alle disposizioni dell’amministrazione centrale. In pratica, da tali strettoie tra esigenze dell’estero e andamento degli affari dell’amministrazione interna, risulterebbero condizioni impossibili. Ed anche l’importazione incontrerebbe le stesse difficoltà dell’esportazione. Basterebbe accennare a queste cose per obiettare circa l’impossibilità di scambi economici vantaggiosi tra un Paese economicamente impostato secondo astratti principi socialisti e Paesi a economia capitalistica, e ogni persona imparziale dovrà riconoscerlo.

Simili obiezioni non possono invece toccare l’idea della triarticolazione dell’organismo sociale. Questa non progetta un piano di organizzazione di tipo statale sulle relazioni risultanti dagli interessi economici. Intende che le amministrazioni di rami congeneri dell’economia si uniscano in associazioni, le quali a loro volta si allaccino ad altre, tramite cui i prodotti trovino diffusione adeguata alle esigenze del consumo di quel campo economico. Un’azienda che lavori per l’esportazione potrà agire di sua piena e libera iniziativa nel commercio con l’estero, essendo in grado all’interno di entrare in rapporto con le associazioni che le sarebbero maggiormente utili per le forniture di materie prime. Lo stesso varrà per un’azienda importatrice. In questa configurazione del giro economico dovrà servire di norma solamente la condizione che nel commercio con l’estero non siano prodotte e introdotte merci i cui costi di fabbricazione o i cui prezzi d’acquisto pregiudichino il tenore di vita dei lavoratori all’interno. L’operaio che lavora per l’estero dovrà ricevere come compenso dei suoi prodotti quanto gli occorre per il suo sostentamento; e i prodotti importati da fuori dovranno, in generale, potersi avere a prezzi accessibili al lavoratore dell’interno che ne abbia bisogno. Può darsi senza dubbio che la differenza di condizioni tra interno ed estero faccia sì che per certi prodotti da importare dall’estero si rendano necessari prezzi troppo alti. Guardando bene, si riconoscerà che le idee che stanno a base della triarticolazione dell’organismo sociale tengono conto di ciò. Per es., nel libro, a proposito di un fatto analogo a questo, è detto: “Un’amministrazione che si occupi solo della vita economica, potrà anche portare a compensazioni che dalla vita economica stessa risultino necessarie. Se, per esempio, una azienda non fosse in condizione di pagare gli interessi a chi vi ha impiegato i suoi risparmi di lavoro allora, dato che nonostante questo l’azienda fosse riconosciuta corrispettiva a un bisogno, potrà aggiungersi il mancante da parte di altre aziende, previa libera intesa con tutte le persone ad essa partecipanti”. Cosi anche il prezzo troppo elevato di un prodotto estero potrà essere pareggiato da contributi integrativi provenienti da aziende capaci di realizzare profitti troppo alti rispetto ai bisogni dei lavoratori in esse impiegati.

Proprio chi anela a idee adatte alle direttive della vita economica, volendole veramente pratiche, non potrà dare indicazioni su tutti i minimi particolari, perché i casi particolari della vita economica sono innumerevoli. Dovrà però configurarle in modo che chiunque voglia praticamente applicarle a un singolo caso, possa venirne a capo. A questo proposito si può constatare che nelle proposte presentate nei miei “Punti essenziali della questione sociale” si riuscirà tanto meglio quanto più si procederà conformemente alle esigenze delle cose stesse. Soprattutto si vedrà che la struttura lì proposta di un corpo economico facente parte d’un organismo sociale triarticolato permette un commercio privo di ostacoli con paesi stranieri, anche quando in essi la triarticolazione non sia stata ancora adottata.

Chi riconosca che l’autonomia del giro economico debba essere il risultato di un’economia tendente a formare un’unità su tutta la terra non dirà certamente che questo commercio possa dimostrarsi impossibile. Infatti, l’economia mondiale, costretta entro le singole forme statali, tende a superarle. Sarà dunque impossibile che una zona dell’economia che per prima si conformi a questa tendenza venga a trovarsi in svantaggio di fronte ad altre zone che si oppongano all’evoluzione generale dell’economia. Potrà piuttosto risultare che nell’organismo sociale triarticolato il profitto del commercio estero ridondi a vantaggio del tenore di vita della popolazione intera; mentre in una collettività capitalistica andrà a beneficio di pochi. Non sarà però per nulla pregiudicata la stessa bilancia commerciale dal fatto che nell’organismo sociale triarticolato la relativa distribuzione tra la popolazione avvenga diversamente che in quello non triarticolato.

Da ciò si vede come nella triarticolazione non sia data un’utopia aliena dalla realtà, ma una somma di impulsi pratici realizzando i quali si può cominciare in qualsiasi punto della vita. Ciò distingue questa “idea” dalle astratte “esigenze” dei diversi partiti socialisti. Queste esigenze cercano capri espiatori per tutto quello che nella vita sociale è divenuto insopportabile, e quando li hanno trovati, proclamano che devono essere eliminati. L’idea della triarticolazione parla invece di ciò che da quanto esiste deve generarsi affinché scompaia il marcio. Al contrario d’altre idee che criticano, che possono anche distruggere, ma che non offrono indicazione alcuna per ricostruire, l’idea della triarticolazione vuole appunto costruire. Ciò appare particolarmente chiaro a chi in merito alle relazioni economiche con l’estero spassionatamente pensi dove sarebbe condotto uno Stato che volesse erigersi in modo conforme a quei principi puramente distruttivi. Alle tendenze demolitrici interne si aggiungerebbero le rovinose incongruenze nei rapporti con l’estero.

Senza alcun dubbio, le condizioni economiche di un singolo organismo sociale triarticolato servirebbero da efficace esempio agli altri Paesi. Gli ambienti dove regna l’interesse per un’equa distribuzione dei beni cercherebbero di applicarla anche nel proprio Paese quando ne constatassero la praticità negli altri, e l’estendersi dell’idea della triarticolazione farebbe sì che sempre più si raggiungessero quelle mete a cui, secondo le connaturali sue forze, tende la vita economica moderna. Il fatto che in molte parti della terra regnino ancora possenti interessi statali sfavorevoli a queste tendenze non dovrebbe trattenere uomini di un territorio economico che ravvisino nella sua importanza la triarticolazione, ad introdurla.

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