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continua da "Aspetti del malinteso Cristo nel cattolicesimo"

(http://bastamonopolio.over-blog.com/2014/05/la-trasformazione-dell-io-nel-noi-e-un-crimine)

La mancata conoscenza del passaggio dell'autocoscienza - da parte delle confessioni religiose preposte a promuovere in senso paolino la capacità dell'io (forza cristica) di superare i condizionamenti dell'ego grazie all'esperienza "Non io ma il Cristo in me" (Galati 2, 20) comporta il fallimento della chiesa già nel suo nascere come istituzione burocratica del "primato" di Pietro, fallimento testimoniato fra l'altro dalla nascita della psicanalisi e del relativismo del pensiero.

Così come da un lato Freud, Adler, e altri psicanalisti ebrei, pretesero di deralizzare il microcosmo interiore mostrandolo come inconscio, vale a dire come qualcosa che per definizione non può essere conosciuto, e dimostrandone la torbida onnipotenza, fatta sede di selvaggi istinti atavici, della libido primigenia e dei famosi "complessi" su ogni facoltà o inclinazione dell'io di veglia, dall'altro il relativismo dell'ebreo Einstein mirava alla distruzione del macrocosmo, dando a credere che le stelle non esistono, "anche se ne vediamo la luce che arriva a noi quando esse "in realtà" non esistono più". Dando a credere al profano che la scienza stessa confermava l'impossibilità di qualsiasi saldo punto di riferimento, tale teoria astratta dava anche l'ultimo colpo ad un tipo concreto di conoscenza fisica, sostituendovi un sistema puramente "formale" di enti matematici ed algebrici. Da un altro lato ancora, il tentativo di istituzionalizzare l'io secondo giuridismo "canonico", accanto al non riconoscimento del Cristo da parte ebraica, due facce di una stessa medaglia documentante che il messia non è stato ancora riconosciuto da Israele ma neppure da Roma, creava l'unica cosa che poteva creare: odio. Se infatti tale riconoscimento ci fosse stato, Roma non avrebbe accusato Israele di "deicidio", dichiarando se stessa "Verus Israel". La logica di chi accusa l'altro anziché riconoscere nell'altro il Cristo essendo estranea al cristianesimo (Apocalisse 12,10).

Ciò che risulterà sempre più evidente alla coscienza degli esseri umani del terzo millennio non potrà pertanto essere rimosso: tanto Israele quanto Roma non riconobbero il Cristo, eppure ambedue giuridicamente pretesero essere il popolo eletto, ambedue ovviamente senza fare i conti col cielo.

Ciò che si paleserà sarà che - da un lato - tutta la storia di Israele risaliva ad Abramo, il primo essere umano - secondo la tradizione ebraica - a proclamare il monoteismo contro i caldei, studiosi degli astri, e - dall'altro - che Roma continuò - e continua tutt'ora - a manifestare tale avversione per ogni attuale studioso della logica celeste.

Così, mentre il Vaticano continua a dimenticare l'antica considerazione celeste - peraltro testimoniata dallo spirito del linguaggio: "vaticano" proviene etimologicamente da "vaticinio" e da "vate"; e "considerare" da "sidera", che in latino significa "stelle" - Israele continua a dimenticare che Abramo era - proprio secondo l'interpretazione dei Padri della tradizione ebraica, egli stesso un astrologo (Midrash Hagadol, Ed. Schechter, I, 189 e sgg.), che "portava sul cuore una tavola astrologica e tutti i re d'oriente e d'occidente usavano recarsi presso di lui per consultarla" (A. Cohen, "Il Talmud", Ed. Laterza, Bari, 1935, pag. 329; cfr. anche la Tosefta Kiddushin 5,17, e il Talmud Bavli Baba Batra 16b) e che anche Sara lo era (Deuteronomio Rabbah 4,5, rif. A Genesi 21,10).

Ad ascoltare Roma ed Israele attuali, sembrerebbe proprio che l'uomo, per essere in "regola celeste" non debba ascoltare il "celato" che il "cielo" nasconde in sé, come residenza del divino. Di che cielo si tratti nel "Padre Nostro" recitato dagli uomini risulta così qualcosa di oscuro. Tale oscurantismo combatte infatti sia ciò che si cela esotericamente "in cielo come in terra", sia il cielo dell'astrofisica! Pare proprio che nessuna di queste vie, che in fondo sono la medesima via al cielo, sia bene accetta alle confessioni religiose (continua).

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